
Beni culturali e spirituali
Troppo pochi sono gli uomini che lavorano, con piacere e soddisfazione, per produrre i beni più importanti di tutti, in quanto servono a far evolvere l’umanità: i beni culturali e spirituali.
Beni culturali e spirituali hanno poco a che fare con la materia. Essi sono soprattutto frutto del pensiero umano, per sua natura creativo. Ne sono esempi paradigmatici la musica, la danza, la poesia, la letteratura, la pittura, la scultura, l’arte, l’architettura, il teatro. Sono tutti esempi che rientrano nel concetto più generale di arte: arte della musica, arte della poesia, della danza ecc.
I beni culturali sono però una categoria assai più vasta, che comprende quei beni che sono anche solo in parte frutto del pensiero creativo: si pensi all’artigianato. Un conto è un tavolo o una sedia prodotti da un’industria, un conto sono quelli prodotti da un falegname.
L’industria si avvale della produzione standardizzata degli stessi oggetti che, risultando meno costosi, si vendono in grande numero. Sedie e tavoli prodotti dal falegname, singolarmente, su misura, o in piccola scala, sono più costosi.
Se ciò a cui diamo valore sono le cose e le quantità, senza dubbio l’industria ne produce di più e a più basso costo. Se ciò a cui diamo valore sono le persone, allora ciò che producono gli artigiani sono di valore incomparabilmente più alto, sotto diversi aspetti:
- i lavoratori nel processo industriale sono persone alienate, spersonalizzate, fungibili, sostituibili in qualunque momento, che non hanno alcun contatto né con la progettazione dei prodotti, né con i clienti che li acquistano. Essi non provano alcuna passione né soddisfazione in ciò che fanno, perché non si identificano con la visione “esclusivamente” commerciale dell’azienda. Non sono felici, lavorano solo per denaro, cioè per sopravvivere. I clienti acquistano oggetti di scarso valore, in quanto prodotti da macchine. Senza l’impronta umana, tali oggetti, in genere privi di bellezza, non generano felicità in chi li osserva
- i migliori artigiani creano i loro prodotti su misura e li consegnano personalmente ai loro clienti. Tra produttori e fruitori si crea un rapporto di fiducia e amicizia. I prodotti artigianali, creati con passione e cura, sono più belli a vedersi di quelli industriali. In alcuni casi, l’artigiano diventa un vero e proprio artista. Egli si avvale di apprendisti che imparano l’arte, per diventare a loro volta artisti, come accadeva nel Rinascimento. Non solo nelle arti più classiche. Si pensi ad esempio alla categoria dei liutai del ‘600, i cui prodotti, di grandissimo valore, sono tuttora apprezzati in tutto il mondo.
Lo stesso discorso vale per l’agricoltura. Avere un rapporto diretto di fiducia con un contadino che porta i suoi prodotti al mercato, significa nutrirsi di alimenti più sani e più gustosi.
Il mondo industriale, che si regge sulla pubblicità-menzogna, è un mondo grigio, triste, disumanizzato. Esso crea ricchezza per pochi e povertà per molti.
Il mondo artigianale è un mondo colorato e allegro.
Basta fare il confronto tra un supermercato, con i suoi scaffali pieni di prodotti standard, che si acquistano presso un’anonima cassiera, e un mercatino artigianale, dove in ogni banco sono esposti prodotti diversi e originali, che si acquistano personalmente dal produttore.
Non a caso la nostra Costituzione protegge l’artigianato e la piccola impresa, mentre i neoliberisti prediligono l’industria, soprattutto quella grande e internazionale: le famose multinazionali, quelle che, più di tutte, maltrattano i lavoratori e speculano su di loro.
Nel 1981 Andreatta, ministro del Tesoro, con una lettera privata, comunicò a Ciampi, allora governatore della Banca d’Italia, di non acquisire più i titoli di stato invenduti alla fine di ogni asta. L’economista Nino Galloni, facendo due calcoli, lo avvisò che questa decisione avrebbe distrutto la piccola e media impresa italiana. Andreatta rispose: “Ma è proprio quello che vogliamo, per diventare più competitivi”.
Fu un colpo di genio che aprì le porte al neoliberismo in Italia, attraverso la decostituzionalizzazione del Paese.
Il potere di creare denaro dal nulla passò dallo Stato alle banche private. Da allora lo Stato perse la sovranità monetaria, ovvero della sovranità tout court, prevista dall’art. 1.
Da quel momento in poi, in progressione, la vita degli artigiani e delle piccole imprese divenne sempre più difficile. Più recentemente, ogni anno chiudono centinaia di migliaia di queste, con una continua perdita di posti di lavoro.
E pensare che l’economia italiana era fatta per il 95% di piccole imprese.
Riferimenti bibliografici

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