
Dal piombo all’oro
Dall’alienazione alla sorgente interiore: testo di Marco Guzzi tratto da un’intervista
Come si potrà facilmente constatare, c’è una forte similitudine tra quanto dice Marco Guzzi e quanto diciamo noi in UniAleph.
Come di consueto, prima di entrare nel vivo del testo e del video di questo articolo/intervista, proponiamo una breve sintesi del percorso finora sviluppato. Questo aiuto introduttivo offre alcune chiavi di lettura utili a contestualizzare e comprendere meglio il quadro complessivo del pensiero di Mauro, articolato in quattro distinti momenti di cui quello di oggi (“Dal piombo all’oro”) costituisce l’ultimo passaggio. Nei tre testi precedenti, Mauro articola un filo conduttore potente: l’evoluzione dell’anima attraverso l’amore consapevole e la trasformazione della sofferenza. La Musa, simbolo dell’unione con il Sé divino, si collega all’alchimia interiore che trasforma il piombo del dolore nell’oro dell’amore. L’“io sano”, il sole bianco, benedice e unisce, mentre l’“io malato”, sole nero, separa e distrugge. Il cammino verso la guarigione e la coscienza passa attraverso la scelta tra benedizione e maledizione, tra autenticità e alienazione. La via è concreta, etica, spirituale e profondamente trasformativa (n.d.r.).
“L’essere umano terrestre vive e convive con la sofferenza.
Nella nostra società, normalmente la sofferenza si interpreta sotto il profilo medico: come togliere il dolore. E un antidolorifico, in certe situazioni, può essere un’àncora di salvezza.
Però il rapporto che l’essere umano ha con la sofferenza è molto più radicale.
La sofferenza non è una fase, non è solo un periodo.
Ci possono essere periodi di acutizzazione della sofferenza.
Ma la sofferenza è una costante della vita terrestre, anche quando le cose vanno bene, o molto bene.
C’è sempre un sottofondo di sofferenza.
*È possibile trovare l’intervista su YT digitando lo stesso titolo (lo incorporiamo di seguito – n.d.r.).
E qui il buddhismo, con il concetto di Dukka, cioè di sofferenza, di distonia, di insoddisfazione di tutto il mondo fenomenico, resta maestro.
Allora il compito fondamentale per l’uomo, che voglia vivere consapevolmente la sua condizione terrestre, dovrebbe proprio essere una domanda e una riflessione sul senso della propria sofferenza.
La sofferenza c’è. Il problema è che cos’è questa sofferenza.
Che senso ha questa sofferenza.
Jung diceva che l’uomo può sopportare anche molta sofferenza, se ne percepisce il senso.
Mentre non sopporta neppure una piccola sofferenza, se non ne percepisce alcuna sensatezza.
Questo è il grande tema di una ricerca interiore. Si parte sempre, e sempre di nuovo, da uno stato di sofferenza.
Perché lo stato di sofferenza torna, e torna continuamente, non necessariamente in modo acuto. Ma il dolore, potremmo dire, è l’esperienza del tempo.
L’essere umano è un’entità strana, perché è un’entità che certamente vive nel tempo e temporalmente perché abbiamo un corpo, perché abbiamo una biologia che è cronobiologia: nasciamo, cresciamo, ci riproduciamo e poi invecchiamo e moriamo. Tutto è nel tempo.
Noi siamo scanditi da due date: la data di nascita e la data della morte.
Come diceva Rilke, la data di morte è già scritta nella fodera interna del tuo cappotto.
Solo che non lo sappiamo, ma c’è.
Quindi l’essere umano è temporale, ma non è solo temporale:
l’essere umano ha dentro di sé una consapevolezza, una coscienza, o se vuoi uno Spirito, che non è temporale.
Se io penso al mio Spirito, come era la mia autocoscienza, io mi sento uguale a quando avevo 15 anni. Non è passato niente, è sempre uguale. Lo Spirito non invecchia.
Accresce, in un certo senso, la sua consapevolezza, ma non invecchia, non è legato al tempo.
Allora questa intrinseca schizofrenia dell’essere umano, che ha un’esperienza dell’eterno, ma nello stesso tempo vive una biologia temporale definita, è il dramma umano. Ed è il dolore, è la sorgente della sofferenza, di tutta l’insofferenza, direi, che connota l’esperienza umana.
Il problema è: che cosa ci faccio con il dolore, che cosa faccio del tempo.
Esiste un dolore buono, come lo chiama George Trakl, grande poeta. Ed esiste un dolore in fondo inutile, che ci procuriamo da soli. Un dolore evitabile, un dolore che si potrebbe facilmente cancellare.
Allora il lavoro interiore, il lavoro spirituale, consiste nel riconoscere e alleggerire quella immensa quantità di dolore che ci procuriamo da soli, che poi produce tutta una serie di azioni inutili o dannose.
Il dolore distorto deriva dalla nostra alienazione. L’alienazione è sofferenza perché non sei tu. Essa produce azioni inutili o dannose.
Se tu riesci, attraverso un lavoro quotidiano e continuo, a scavare dentro questo dolore, ad alleggerirlo, a purificartene, allora trovi l’oro, per utilizzare la metafora che uso in questo periodo.
Trovi la vena d’oro, cioè trovi la tua vera identità, lo Spirito. L’oro è il tuo vero io, la tua vera natura.
E la tua vera natura è una sorgente che sgorga, è una fonte. Non è una cosa.
L’io non è una cosa. L’io non si può oggettivare. Perché l’io, il soggetto appunto, è creazione continua.
Allora, l’opera dovrebbe sgorgare da questa sorgente.
Se tu operi in accordo con la sorgente, la tua azione è buona.
Se tu operi nell’alienazione, la tua azione può essere un riempitivo, perché tu non operi dal centro del tuo essere, ma operi per altri motivi: per compensare carenze, per paura, perché altrimenti non ti senti vivo, perché devi compiacere Tizio, Caio o Sempronio o te stesso, o l’immagine che hai di te.
Tutto quello che fai in questo modo ti procurerà molto dolore, e procurerà dolore anche ad altri: Dukka.
Se tu operi dal centro, quindi dalla sorgente, allora tu diventi semplicemente un tramite dell’opera divina.
Gesù dice: “Io opero sempre, e anche il Padre mio opera sempre”.
Il divino in noi opera continuamente. E che fa? Crea, crea mondo.
Se noi siamo tramite di questa creazione, la nostra azione sarà comunque buona. Anche se magari in qualche modo dolorosa, perché siamo incarnati.
Sarà la fatica dell’incarnazione.
Questo è il mistero della croce.
L’incarnazione, portare lo Spirito sulla terra, è molto faticoso.
Ed è anche doloroso, è un parto.
La ricerca spirituale dovrebbe consistere in un continuo discernimento tra il dolore non buono, che deriva dalle nostre alienazioni, e il dolore buono che deriva dalla fatica di incarnare lo Spirito sulla terra.”
A seguire, la serie degli articoli che ci hanno condotto a questo testo conclusivo.
Riferimenti bibliografici

I bambini salveranno il mondo
Verso un nuovo rinascimento spirituale e costituzionale